
I confini della libertà
Creatività a briglia sciolta?
Per SETTIMIO BENEDUSI sono i paletti
a farci dare il meglio di noi
di Cristina Manfredi
Se c’è uno che non le manda a dire è Settimio Benedusi. All’ingresso del suo studio di fotografo, in un cortile che ancora sa di vera Milano, c’è un cartello che recita: «Parlo di qualunque cosa con chiunque». È una sua citazione e ci starebbe bene una postilla: «Con chiunque sia disposto a ricevere anche risposte scomode».
Nato a Imperia, la prima macchina fotografica l’ha trovata in casa intorno ai dodici anni e ci ha messo poco a capire che: «Era una figata e che da grande avrei fatto il fotografo». Ha cominciato ritraendo gli amici, fino ad allargare gli orizzonti e diventare una figura di spicco della fotografia contemporanea, oltre che giornalista e docente per chi lo vorrebbe emulare. La sua teoria fondante è che le immagini, di qualunque natura siano, devono sempre servire a qualcosa. Poi dispone come corollario che tutti possono diventare grandi fotografi se hanno avuto la costanza di studiare e imparare dai mostri sacri dell’obiettivo.


Stando a questi suoi principi, il talento non esiste: possibile?
«Di certo non esiste il dono che ti arriva dal cielo come una illuminazione. Nella fattispecie della fotografia, dove c’è una forte componente automatica, non si tratta di ricevere una benedizione celestiale, ma di aver comprato e poi studiato almeno trecento libri sull’argomento. Sulla mia scrivania c’è La fotografia di Ugo Mulas, un libro che conosco a memoria, pagina per pagina, ma che non smetto mai di consultare. Mettiamola così, se anche esistesse una scintilla divina instillata in noi sotto forma di talento, quello sarebbe solo il primo passo di un percorso formativo, comunque imprescindibile. Sento l’obbligo di ribadire l’importanza assoluta dell’impegno quotidiano, oggi tutti sono convinti di saper fare tutto, ma non funziona così. C’è una frase che mi piace molto e che riassume bene il mio pensiero: solo sul dizionario la parola successo arriva prima di sudore».
E una volta che si è studiato a sufficienza, qual è la condizione ideale per esprimersi?
«Di sicuro avere un committente. La fotografia non può, non è e non è mai stata un esercizio estetico fine a se stesso. E funziona esclusivamente se risolve un problema, come testimoniano tutti gli scatti dei più grandi. In giro sento un sacco di balle, gente che mi dice che si sveglia e fa solo quello che vuole, beh mi spiace ma il miglior modo di essere liberi sta nell’avere dei paletti. Se ora io dicessi a Valentino Rossi che fuori c’è una moto e che se la può prendere, farsi un bel giro e tornare quando è stanco, lui andrebbe forte come quando si trova in gara, costretto a percorrere quel determinato circuito più velocemente di tutti gli altri? Solo in pista lui attiverà tutte le sue capacità, costretto dalla situazione a risolvere quel determinato problema. Andando avanti ho capito che la qualità ultima delle fotografie sta nell’essere utili, non belle. La bellezza, al limite, è una conseguenza».
Ora che è un personaggio affermato, come coltiva la curiosità verso il suo mestiere?
«Sperimentando. Badando a non essere mai prevedibile e avendo da tempo rinunciato al consenso, che non vuol dire non soddisfare il famoso committente di cui parlavamo prima, solo non cercare l’applauso. In una intervista David Bowie dava una definizione perfetta della condizione in cui dovrebbe trovarsi chi si confronta con la creatività. Quando sei in mare e arrivi a non toccare più il fondo, quello è il momento in cui puoi fare qualcosa di speciale, perché è il momento in cui inizi a rischiare».
E che rischi sta prendendo lei oggi?
«Ultimamente ero stanco di enfatizzare chi era già un personaggio. Scattare una modella dopo che è stata due ore a farsi sistemare il trucco e i capelli, per me non era più stimolante. Così ho deciso di abbandonare la fotografia elitaria, quella delle copertine dei magazine, per raccontare la gente che incontro per strada. Ho iniziato a fare ritratti andando nei mercati, luoghi aperti e democratici per eccellenza. E vivo momenti stupendi».
